La spina bifida è una malformazione congenita a carico del midollo spinale, dovuta alla mancata chiusura del tubo neurale (la struttura dell’embrione da cui si sviluppano il cervello e il midollo spinale) durante il primo mese di vita intrauterina. Nella spina bifida, le ossa del canale in cui si trova il midollo non si chiudono e quindi le sottostanti strutture possono provocare un’ernia attraverso il canale osseo. Se l’erniazione interessa soltanto le meningi si parla di spina bifida con meningocele; se coinvolge anche il midollo, si parla di mielomeningocele. Infine, se il midollo spinale è anch’esso fissurato, abbiamo la neuroschisi.
Molto variabili i danni che ne possono derivare. Nei casi più gravi, il midollo spinale fuoriesce dalla colonna vertebrale (spina bifida cistica). Ciò porta alla lesione non solo del midollo, ma anche delle terminazioni nervose che sono collegate.
I sintomi dipendono principalmente dalla gravità della lesione, per cui si va dal cosiddetto “piede torto” a più o meno serie difficoltà nel muovere gli arti inferiori, fino alla paralisi. Altri problemi possono riguardare i nervi della vescica e i nervi degli sfinteri, provocando problemi di incontinenza. In molti casi alla spina bifida è associato l’idrocefalo, ossia l’aumento del volume del liquido cefalorachidiano (“liquor”). In altre parole: si assiste a un anomalo accumulo di fluidi all’interno del cervello stesso.
Le cause che determinano l’insorgenza della spina bifida sono tuttora sconosciute, ma sicuramente la patologia dipende da numerosi fattori; si tratta infatti di una patologia multifattoriale, ossia dovuta all’interazione di fattori genetici con fattori ambientali quali l’area geografica, le condizioni socio-economiche, l’eventuale assunzione di farmaci e soprattutto una dieta materna povera di folati (vitamina B9), essenziale sin dal concepimento per lo sviluppo dell’embrione e del feto, poiché in questa condizione il suo fabbisogno aumenta notevolmente.
La spina bifida può essere diagnosticata anche prima della nascita con l’ecografia, ma le possibilità diagnostiche dipendono da tanti fattori tra cui la gravità della malformazione.
Vi sono anche altri esami che indicano un rischio maggiore che quel feto abbia la spina bifida quali:
La spina bifida ancora oggi rappresenta una delle maggiori cause di handicap nell’infanzia. Grazie allo sviluppo della medicina e alla particolare attenzione che in questi anni è stata dedicata alla prevenzione e alla cura, si riesce a garantire la sopravvivenza a quasi tutti i neonati con questa patologia. Inoltre, con un adeguato follow-up presso centri qualificati, questi bambini possono raggiungere l’età adulta in buone condizioni fisiche e psichiche, e avere una qualità di vita soddisfacente.
Un passo decisivo nel campo della prevenzione è stato compiuto con la dimostrazione che l’assunzione quotidiana di acido folico – con dosaggio di 400 microgrammi (0,4 mg) – almeno un mese prima del concepimento e durante il primo trimestre di gravidanza, riduce notevolmente il rischio di avere un figlio con difetti del tubo neurale. Tuttavia, questo tipo di prevenzione presenta dei problemi pratici: i dati, infatti, indicano che per essere totalmente efficace l’assunzione di acido folico va attuata prima della gravidanza, cosa che presuppone un buon livello di pianificazione familiare che non sempre è attuato dalle coppie.
La terapia della spina bifida è soprattutto di tipo chirurgico. In genere, i neonati con questa patologia vengono operati nei primi giorni di vita, per limitare sia la possibilità di infezioni, sia eventuali danni spinali. Bisogna tuttavia tener presente che il risultato finale degli interventi dipende soprattutto dal danno iniziale che ha subìto il midollo spinale.
Grazie allo sviluppo delle cure e delle ricerche, attualmente l’aspettativa di vita dei bimbi con spina bifida è molto aumentata. Inoltre, mediante l’ecografia e anche analisi biochimiche, è possibile formulare una diagnosi anche prima della nascita. Questa tecnica, che va eseguita da un operatore esperto, consente di identificare la maggior parte dei difetti del tubo neurale aperto.
La concentrazione di acido folico attivo nel sangue fetale è superiore a quella materna, a causa del trasporto attivo placentare. La concentrazione media è più elevata nel cordone ombelicale. Non si evidenziano invece differenze materno-fetali nei livelli plasmatici di acido folico o dei metaboliti inattivi, a supporto dell’evidenza che il trasferimento placentare attivo di queste sostanze non avviene. Pertanto appare chiaro che la supplementazione con acido folico, diversamente dal folato attivo, non può raggiungere nel feto concentrazioni adeguate per una crescita sana.
Folato attivo, folati e acido folico nel sangue materno e del cordone ombelicale. Concentrazione di differenti forme di folati nel siero materno e nel corrispettivo siero del cordone ombelicale. La supplementazione di Acido Folico Attivo (5-MTHF) durante la gravidanza rappresenta una valida fonte immediata di folato per il feto.
Alcuni studi condotti anche in Italia, hanno evidenziato che le concentrazioni sieriche di alcune vitamine del gruppo B, in particolare dei folati, sono inferiori nei fumatori rispetto ai non fumatori. Chi fuma in genere ha anche un apporto inadeguato di folati con la dieta dovuto a un basso consumo di frutta e verdura.
No smoking, be happy! E in gravidanza vale ancora di più
Ogni momento è buono per smettere di fumare ma una gravidanza è proprio l’occasione giusta e non solo per l’acido folico ma per fare del bene alla tua salute e quella del bimbo che verrà. Il fumo, attivo o passivo, produce nell’organismo moltissimi effetti dannosi sia per la mamma che per il feto e per il neonato.
Smettere di fumare in gravidanza è il più grande regalo che tu possa fare al tuo bambino (e a te stessa!). I pericoli associati al fumo in gravidanza sono significativi, e comportano un aumento di rischio di parto prematuro, aborto spontaneo e gravidanza extrauterina.
Inoltre, il fumo può danneggiare direttamente il feto: forse non lo sai ma quando si fuma vengono inalate oltre 4.000 sostanze chimiche dannose che dai polmoni della mamma raggiungono il flusso sanguigno. Da qui, attraverso la placenta e il cordone ombelicale arrivano al feto.
L’effetto principale riguarda la riduzione dell’apporto di ossigeno, essenziale per la corretta crescita del feto e del neonato. Un ridotto apporto di ossigeno può interferire con il corretto sviluppo dei polmoni, inoltre costringe il cuoricino del piccolo a pompare con una maggiore frequenza per sopperire alla carenza di questo elemento essenziale.
I danni del fumo si protraggono anche dopo la nascita: la nicotina assunta dalla mamma passa al neonato attraverso il latte materno rendendolo irritabile. Il fumo aumenta inoltre il rischio di morte in culla di almeno il 25 per cento.
(Fonte: Fondazione Veronesi)